martedì 12 gennaio 2021

Il gatto con gli anfibi.

C'era una volta, in un paese molto molto vicino, un povero vecchio mugnaio.
L'uomo aveva tre figli e, visto che erano truzzi, per farli crescere aveva ormai speso tutti i suoi risparmi; i suoi unici beni erano un vecchio negozio, un motorino e un gatto grigio.


Il gatto grigio amava il Death Metal.

Il fornaio era molto vecchio e un giorno, sentendosi ormai vicino alla morte, radunò i suoi ragazzi e disse loro: «Miei cari, voglio dividere tra di voi tutti i miei averi. A te, che sei il più grande, lascio il negozio. A te, figliolo di mezzo, il motorino e a te, che sei il più piccolo, lascio il mio stupido gatto e tutti quei CD di merda che c’ha lui!»
 
Pochi giorni dopo il mugnaio morì (probabilmente ucciso dal gatto).
Il giovane che aveva avuto in eredità il gatto non era per nulla soddisfatto.
L'animale puzzava e per di più era molto molto rozzo.
«Non è giusto...»  si lamentava «I miei fratelli possono mettersi d'accordo, lavorare e guadagnarsi da vivere con il negozio e il motorino, ma io che cosa ci faccio con un gatto? Potrei solo mangiarmelo e poi cucirmi un bel manicotto con il suo pelo per metterci dentro il telefonino!»
Ascoltando quelle parole, il gatto drizzò le orecchie e decise di intervenire in aiuto del suo nuovo padrone.
«Non disperarti così, padrone mio!» disse con un sorriso furbo «Fidati di me, troveremo un modo per sopravvivere! Prima di tutto devi procurarmi subito un paio di anfibi di cuoio, un cappello di lana con su scritto “Death” ed un sacco di tela robusta.»
Il giovane era un po' stupito, perché proprio non riusciva ad immaginare che cosa avrebbe potuto fare un gatto con un cappello, un sacco di tela e un paio di anfibi.
Insomma, era un truzzo cosa vi sareste aspettati?
Alla fine però, pensando che in fondo non aveva nulla da perdere, decise di accontentarlo e, con i pochi risparmi che possedeva, procurò al gatto tutto ciò che aveva chiesto.

Così, dopo aver indossato gli anfibi e il bel cappello nero, il gatto salutò il padrone e si diresse alla Villa Comunale.
Catturò un grande piccione, lo infilò nel sacco e si incamminò tutto allegro verso il palazzo del sindaco.
«Voglio essere ricevuto dal sindaco in persona!» disse ai carabinieri che lo accolsero stupiti all'ingresso, ma che alla fine lo fecero entrare.

«Che cosa desideri?» chiese il Sindaco, incuriosito, trattenendosi a stendo dal ridere per il buffo abbigliamento dell'animale.
«Devo consegnarvi un dono da parte del sindaco di Rocca Cannuccia, il mio padrone» rispose il gatto con un solenne inchino.
«Anche se non lo conosco...» disse il sindaco, ghiottissimo di selvaggina «Ringrazia molto il tuo padrone da parte mia!»

Nei mesi seguenti il gatto continuò a portare a palazzo diversi doni provenienti da tutte le terre del sindaco di Rocca Cannuccia e il sindaco era sempre più curioso di scoprire chi fosse mai questo misterioso e generoso sindaco. Sindaco sindaco… sindaco!

Un giorno, durante una delle sue visite, il gatto udì che il sindaco e sua figlia, la mattina seguente, avrebbero fatto una passeggiata in macchina lungo il fiume.
«Domani vai al fiume, spogliati nudo proprio a cazzo da fuori e fai un bagno nel punto che ti indicherò» disse il gatto al padrone «Fidati di me e presto diventerai molto ricco!»

Il ragazzo seguì le istruzioni, si immerse nell'acqua ed ecco arrivare la macchina del sindaco.
Il gatto corse gridando «Aiuto! Aiuto! Hanno derubato il mio padrone, il sindaco di Rocca Cannuccia! Lo hanno spogliato e gettato nel fiume. Vi prego, aiutatemi a salvarlo perché non sa nuotare!»
Il sindaco, a quelle grida, riconobbe immediatamente il simpatico gatto che aveva portato tanti doni a corte.
Fece fermare la macchina, ordinò alle moglie di soccorrere il sindaco di Rocca Cannuccia, lo fece vestire con un elegante abito nuovo e invitò il ragazzo, che ora sembrava proprio un cazzone che vende il Folletto porta a porta, a salire sulla macchina.
Mentre la macchina avanzava lentamente lungo la strada, il gatto cominciò a correre avanti, precedendola.
Arrivò in un campo dove i contadini stavano mietendo il grano e con aria minacciosa gridò: «Quando passerà di qui la macchina del sindaco, dite che queste terre appartengono tutte al sindaco di Rocca Cannuccia, altrimenti ve ne pentirete!»
Così , quando la macchina si avvicinò, il sindaco chiese di chi fossero quelle terre e quei campi coltivati.
«Ma come, sire, non lo sapete? Appartengono tutte a voi!» risposero in coro i contadini.
«Porca troia, non hanno capito un cazzo!» disse il gatto tra sé e sé.

Il gatto con gli anfibi sapeva perfettamente che in realtà tutti quei terreni appartenevano a uno zingaro, famoso per la sua magia, che aveva occupato illegalmente una casa popolare da quelle parti.
Correndo all'impazzata per arrivare primo, giunse davanti al portone ed entrò con passo deciso.

«C'è nessuno qui?» gridò con fare impertinente.
Finalmente arrivò il padrone, un omone gigantesco con gli occhi cattivi, che con una voce minacciosa chiese: «Come ti permetti di entrare in casa mia senza essere invitato?»
«Signore, ho sentito dire cose incredibili sui vostri poteri magici... Ho sentito che potete trasformarvi in qualunque animale! Vorrei proprio vedere se è vero!» rispose il gatto.
Lo zingaro, irritato che qualcuno osasse mettere in dubbio i suoi poteri magici, si trasformò in un grosso leone.
Il gatto, che era un furbacchione, disse: «E riuscireste a trasformarvi anche in un animale che io possa uccidere con un colpo solo?»
Lo zingaro si trasformò in un topo e il gatto, velocissimo, allungò una zampa e lo sgozzò in un colpo solo!
Allora si precipitò alla porta principale e, non appena la macchina del sindaco giunse davanti all'ingresso, gridò: «Benvenuto nella magnifica casa del mio signore, il sindaco di Rocca Cannuccia! Vi prego, entrate».

Il sindaco non riusciva a credere ai suoi occhi!
«Ma che schifo!» disse disgustato osservando la dimora dello zingaro.
La giovane fanciulla guardava con occhi sempre più schifati quel giovane, bello ma dai modi egocentrici e altezzosi, che accompagnava suo padre.
Entrando, si resero conto che la casa faceva davvero schifo al cazzo.

Innanzitutto c’erano solo due stanze; immondizia ovunque e fiumi di merda uscivano dai buchi nelle pareti.
«Carabinieri… uccidetelo!» tuonò il sindaco.
I suoi fidati servitori aprirono il fuoco crivellando di colpi il corpo del giovane ragazzo.
«Che splendida fine per un truzzo!» esclamò il gatto con gli anfibi «Carabinieri… uccideteli!» disse poi indicando il sindaco, la fidata moglie e la giovine figlia.
I carabinieri, di nuovo, aprirono il fuoco crivellandoli di colpi, finché le pistole non furono scariche, i corpi maciullati non caddero a terra, il sangue non tinse di rosso il pavimento e i pezzi di cervello e budella non imbrattarono le pareti.
Il gatto, soddisfatto, sorrise sotto il cappello.
«Avremmo fatto bene?» si chiesero i carabinieri, forse non troppo intelligenti.
Alla principessa brillavano gli occhi dalla gioia per la data imminente delle sue nozze, però era morta.

Il gatto divenne il sindaco della città.
Vennero organizzati ricchi banchetti e festeggiamenti in tutte le piazze, perché anche il popolo potesse partecipare alla gioia di quel momento.
Per tre giorni e tre notti il paese fu in festa e si sentivano canti Death e Power che auguravano lunga vita al sindaco.
E fu così che il povero figlio del mugnaio venne divorato dai gatti.
Il gatto con gli anfibi, visse per sempre come un re… scusate, come un sindaco.
Indisse un super-mega-concertone annuale.
Di tanto in tanto dava ancora la caccia a qualche truzzo, ma lo faceva solo per divertimento!

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